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Beh, Pietro, non dimenticare che le esperienze sulle piante tropicali arrivano anche dall’Italia, soprattutto dal laureto caldo 😀
Tomas
Verissimo, ma prova a scrivere in un forum internazionale che la tal pianta è coltivabile nel warm lauretum 🙂 .
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
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https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
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Pietro,
quanti anni ha l’esemplare in foto?
Come mai è così vicina alla phoenix? Era finito lo spazio ?
Ciao,
ha 22 anni, lo spazio non era ancoar finito (ora lo è da tempo), ma quando si acquistano semi non sempre nella busta col nome della specie che hai ordinato c’è la specie che hai ordinato. La Phoenix doveva essere l’acaulis, ma crescendo è risultata la sylvestris…. ed ho lasciato che se la sbrigassero tra loro 🙂 .
Pietro Puccio
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Pietro
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Per quel che può servire e per evitare fraintendimenti 🙂 , riassumo qui alcune cose dette in altre discussioni.
In primo luogo non sono il difensore ufficiale di questo metodo, semplicemente essendo da oltre 40 anni affetto da mania acclimatatoria, ho avuto modo di constatare che tale metodo, se correttamente applicato e correttamente interpretato, è capace di rispondere velocemente, nella maggioranza dei casi, ed al momento come nessun’altro, con sufficiente attendibilità alla domanda: posso coltivare nel mio giardino una pianta che non lo è mai stata (o non ne sono comunque a conoscenza) nella zona in cui vivo? Per far ciò ne consegue che devo necessariamente fare riferimento all’esperienza di coltivazione in zone diverse (a volte molto) dalla mia., non serve pertanto – a questo scopo – conoscere il comportamento delle specie naturali o naturalizzate e nemmeno sapere che la zona in cui vivo viene genericamente definita come lauretum, fagetum ecc. perché le esperienze a cui devo fare riferimento riguardano (in particolare per noi tropicalofili) zone in cui questa suddivisione non esiste e forse nemmeno conosciuta, mentre è ampiamente utilizzato questo metodo. Internet in tal senso aiuta moltissimo, ma non bisogna dimenticare che non esiste alcun filtro o controllo e che quindi non bisogna mai fermarsi al primo sito che si trova, occorre anche qui saper valutarne l’attendibilità, ma basta un po’ di esperienza e credo che qui ne abbiamo molta.
Pietro Puccio
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Pietro
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Scusate, mi sembra si stia mettendo “troppa carne al fuoco”, forse è opportuno esaminare più attentamente caso per caso. Personalmente ritengo che, spinti dall’entusiasmo, siamo portati molto spesso a trarre conclusioni affrettate riguardo la “rusticità” o meno delle piante di nostro interesse. Ho avuto modo anche io di sperimentare che non sempre ciò che è scritto sui libri corrisponde alla realtà, ma molto, molto meno di quel che si ritiene generalmente. Non teniamo spesso nel debito conto che chi scrive un libro od un articolo nel dare una indicazione, in particolare una cosa così importante come la temperatura minima di coltivazione nel campo delle tropicali, deve tenere conto, per quanto possibile, di tutti i parametri che intervengono a modificare la temperatura che provoca danni irreparabili, fino alla morte, parametri che hanno sicuramente un peso diverso ad esempio a seconda delle modalità e dei luoghi di coltivazione, deve dare quindi dei valori che siano giustamente cautelativi. Le temperature minime riportate nei libri (seri) non sono da intendere come la temperatura che provoca la morte della pianta, ma la temperatura che in situazioni e condizioni possibili, anche se infrequenti, può provocare danni. Un esempio che porto di frequente, e che chiunque può verificare, è quello della Cocos nucifera, chi ha la famosa enciclopedia “Tropica” troverà nelle prime pagine le temperature minime di alcune località nella fascia che l’autore considera di interesse, in particolare troverà per Miami -3°C e per Palermo +3°C (e non è un errore) e visto che a Miami crescono le Cocos ne discenderebbe che dovrebbero crescere, a maggior ragione, a Palermo. Invece non è così perché interviene un parametro importantissimo a modificare la situazione, la durata del periodo di basse temperature. A Miami si può avere un abbassamento di temperatura fin sotto lo zero della durata di poche ore con temperature, prima e dopo dell’ordine di 20°C o più che non provoca danni irreparabili, mentre altrove, con temperature costanti per più giorni intorno a 10-11 °C si può avere la quasi certezza della morte della pianta, specie se giovane. Se io dovessi consigliare una temperatura minima di coltivazione valida per Miami, Los Angeles o Roma direi senza dubbio +16°C, naturalmente verrei preso per pazzo ignorante da chi vive a Miami (in realtà lì conoscono benissimo la loro particolare situazione), ma io avrei la coscienza a posto perché ben poche piante, e solo se pessimamente coltivate, morirebbero a Roma o Los Ageles, mentre sarebbero una infinità se consigliassi -3°C.
Pietro Puccio
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Pietro
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… però di alcune “varietà” non ufficiali di Chamaerops ho trovato anche il nome del botanico che le ha descritte ….
mi pare irrispettoso verso questi grandi botanici del passato ……………aspetto altre osservazoni sull’argomento….
Gianpiero
Ciao Giampiero,
spero non penserai che sia stato io a decidere che esistono solo due varietà di Chamaerops! 🙂
Ho specificato che le 16 varietà sono “botanicamente descritte” cioè descritte da botanici, anche illustri, su riviste botaniche e di cui tu stesso puoi trovare tutti i riferimenti. Ricordo che la stragrande maggioranza delle specie è stata descritta in pochi decenni nell’800 in un periodo di grande entusiasmo per le continue nuove scoperte (il che ha portato anche a clamorosi errori) ed in cui i sistemi di comunicazione erano ben lontani da quelli attuali. Frequentissimi i casi – ad esempio – di specie identiche descritte da botanici diversi, in tempi e con nomi diversi, di specie descritte su materiale botanico incompleto ecc. Infine non va dimenticato che natura non facit saltus e quindi non sempre è facile classificare una pianta visto che in natura non esistono rigidi confini.
Da alcuni anni in sede internazionale i botanici (Codici di Tokyo, Saint Louis e Vienna) hanno stabilito alcune regole ben precise per eliminare la evidente confusione nella nomenclatura botanica; per esempio una delle più semplici e più ovvie è quella della priorità, se una pianta è stata compiutamente descrita secondo i canoni botanici e pubblicata sotto nomi diversi, in tempi diversi, il nome valido è il primo pubblicato in ordine di tempo. Inoltre i moderni studi sul DNA stanno dando un contributo che può essere definitivo nella classificazione delle specie.
Infine riguardo gli “Index seminum” degli orti botanici che riportano nomi considerati attualmente “non validi”, non è solo un problema di mancato aggiornamento, ma anche una filosofia seguita da molti, cioè di lasciare il nome originario con cui una specie è stata introdotta in collezione per motivi storico-botanici. Non bisogna dimenticare che gli Orti Botanici solo da pochi anni si sono “aperti al pubblico” asumendo un ruolo anche di larga divulgazione, non solo quindi ristretto agli “addetti ai lavori”, che hanno tutti i mezzi per sapere che le Corypha gembanga riportate nei registri di molti Orti Botanici europei non sono Corypha, ma Livistona e questo per un evidente errore di nome con cui queste piante furono fornite da, se non ricordo male, un famoso stabilimento belga 🙂 .
Pietro Puccio
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Pietro
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Sarebbe anche importante sapere da dove viene la tue pianta.
Grazie Tomas,
purtroppo la provenienza è ignota. E’ stata acquistata in un ipermercato di Palermo di proprietà locale, cioè non legato alla “grande distribuzione”, che si fornisce da svariete fonti, anche locali, ed i cui addetti alle vendite non hanno specifiche conoscenze (più volte ho cercato invano di avere notizie su piante non cartellinate).
Pietro Puccio
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Pietro
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Orbene le temperature minime e massime fra queste 3 località possono tranquillamente differire sistematicamente, e quindi in modo statisticamente significativo, di almeno due o tre gradi, che possono far classificare Roma in una zona climatica piuttosto che in un’altra.
Ciao Domenico,
non solo concordo, ma rilancio! Possiamo avere due diverse zone climatiche (sempre secondo l’USDA) nello stesso giardino, sia pur piccolo. Se ci si trova in un’area climatica di confine (ricordo intanto che i limiti delle “zone” non sono limiti fisici), in presenza di un muro o costruzione, basta spostarsi da un lato esposto a nord a quello a sud per cambiare zona. Le mappe generali devono servire come primo approccio orientativo, poi ognuno, deve ricavarsi la propria, anche usando le specie “indicatrici”.
Pietro Puccio
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Pietro
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Ciao Orazio,
sono stato in passato più volte a Vulcano e non ricordo (ma ciò non significa) di aver visto Chamaerops o comunque non mi hanno colpito. Gli stessi ‘lanciatori’ nel loro sito di vendita semi scrivono semplicemente Chamaerops humilis (Vulcano), riducendo il tutto ad un ecotipo. In realtà le piante in vendita nei vivai derivano da una lunga selezione per cui hanno un aspetto molto più florido di quelle che si vedono in natura, tanto da sembrare spesso, queste ultime, diverse. Ho visto cespi nei rari tratti di costa palermitana sfugguti alla speculazione ediliza, così fitti e bassi da essere da non essere riconoscibili da lontano e ricordo in qualche tratto della strada che porta ad Erice piante la cui lamina fogliare non era molto più grande della mia mano.
Pietro Puccio
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Pietro
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…. credo sia sempre bene mettere nel profilo o nella firma…
Tutote Stagni e Zone Umide
Ciao Giuseppe,
a proposito di firma, cosa sarebbe “Tutote”?
Pietro Puccio
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Ciao Orazio,
grazie per averci rammentato la “nostra” palma 🙂 .
A proposito delle varietà di Chamaerops humilis, ne sono state descritte botanicamente ben 16, di queste sono attualmente “accettate” solo due:
Chamaerops humilis var. humilis (foglia verde) e Chamaerops humilis var. argentea
Da notare che la seconda non è altro che la varietà cerifera descritta da Beccari nel 1920 e rilanciata commercialmente con questo nome dal duo Gibbon-Spanner.
Pietro Puccio
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Pietro
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Ciao Tomas,
sicuramente lo zolfo acidifica, ma è più efficace in suoli neutri o già debolmente acidi; in presenza di suoli ed acqua di irrigazione calcarei, a causa dell’effetto tampone del calcare, che in pratica blocca il pH intorno ad 8, ne occorrerebbero quantità che dovrebbero essere dosate con grande oculatezza, potendo essere pericolose per le piante stesse. Con pH intorno ad 8 il ferro, e gli altri microelementi che si comportano come lui, non sono più assorbibili dall’apparato radicale. Anche usando inizialmente torba acida, visto che da noi piove piuttosto poco, l’acqua che si usa è quella ricca di calcare che ben presto vanifica la presenza della torba.
Ritornando alla Gardenia, la thunbergia non ha particolari problemi in suoli ‘moderatamente’ alcalini, mentre la jasminoides sì.
Pietro Puccio
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Pietro
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Il bio-ferro, quindi, come concime dovrebbe andare bene, o devo dare del ferro a parte?
In presenza di suoli a pH alcalino devono usarsi i chelati di ferro perchè in questa situazione il ferro, da solfato, non va in soluzione e non è quindi disponibile per la pianta. Ad ogni modo la thunbergia è, come detto sopra, meno esigente della jasminoides, vive discretamente bene anche nei nostri (Palermo) suoli.
Pietro Puccio
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Pietro
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perché la jasminoides si coltiva a Messina e muore a Palermo?
Perchè a Messina e dintorni i suoli sono acidi, mentre a Palermo alcalini (in più l’umidità ambientale è maggiore nel messinese).
Pietro Puccio
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La G.t. e’ ideale per innestarci sopra le “jasminoides” ornamentali. Si ottengono cosí gardenie piú resistenti a siccitá e cambi di pH.
Carlo
Ottima soluzione, ma non mi pare adottata a livello vivaistico, non ne ho mai viste tra le jasninoides che arrivano (e muoiono) a Palermo dai vivai messinesi e nordeuropei.
Pietro Puccio
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Ciao,
quello che si vede non è in contrasto con l’ipotesi schiedeana, ma si potrà essere ragionevolmente sicuri solo vedendo l’infiorescenza ‘fresca’.
Pietro Puccio
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… Intendevo coltivazione in vaso….
Certamente, solo occorrono contenitori capienti per avere una discreta fioritura.
Pietro Puccio
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Qualcuno ha mai coltivato questa essenza nei nostri climi?
Io ne ho un paio riprodotte da seme, ma non hanno mai fiorito.
Ciao,
nel nostro (Palermo) clima non ha problemi, nemmeno di pH di suolo ed acqua (come invece la G. jasminoides), l’unico problema è la lentezza di crescita. Per fiorire deve assumere le dimensioni di un piccolo cespuglio, come quelli che trovi solitamente nei vivai. Se non l’hai mai vista, vi è una pianta ultracentenaria a Piazza Marina.
Pietro Puccio
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Ciao Orazio,
felicitazioni per lo Strongylodon, tienici aggiornati sul suo sviluppo 🙂 .
Pietro Puccio
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La “nigra” non e’ una specie, ma un incrocio… Mi sembra di ricordare fra A.lechuguilla e A.triangularis.
Carlo
Agave victoriae-reginae x lechuguilla
Pietro Puccio
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In attesa di Carlo posso riferirti la mia personale esperienza sull’Hyphaene thebaica. Due piante, in tempi diversi, ottenute da seme e posizionate all’aperto esposte a sud, sono sopravvissute per due e tre anni deperendo progressivamente fino alla morte. E’ mia opinione che difficilmente possano esserci in Italia, a parte forse Lampedusa, luoghi dove possa essere coltivata con successo. Riguardo la Phoenix, questa è così ‘vicina’ alla dactylifera, che qualcuno non la ritiene una specie differente, ad ogni modo dove cresce la dactylifera, cresce anche la theophrasti (a proposito, perchè non specifichi dove vivi?).
Pietro Puccio
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Ciao Ivana e benvenuta,
credo ci siano tutti i presupposti per tentare con successo di ricavare qualche nuova pianta dalle foglie rimaste. Puoi provare con l’intera foglia (è una foglia non un ramo) o procedere come descritto qui per avere più possibilità. Naturalmente devi avere pazienza e soprattutto evita di controllarle ogni giorno 🙂 .
Pietro Puccio
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ma le radici che risultano sotto la ferita continuano in qualche modo a funzionare?
Certamente, ed anche tutto ciò che c’è sopra.
Dato il sistema vascolare delle palme e l’impossibilità di ricostruire i tessuti, una ferita di quel genere interromperebbe i flussi fra radici, foglie ed apice di larga porzione di pianta, se ciò non avviene è perchè la natura ha trovato la soluzione, ad intervalli i ‘canali’ che trasportano gli elementi nutritivi sono collegati tra loro da ‘bretelle’, ricanalizzando così la porzione di fusto sotto e sopra l’interruzione. In definitiva, mentre agli umani i by-pass si fanno alla bisogna, le palme li posseggono dalla nascita 🙂 .
Pietro Puccio
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In realtà l’Asimina triloba non è per nulla una pianta tropicale o subtropicale, il suo areale naturale si estende nell’America del nord fino ai gelidi stati più settentrionali degli USA ed al Canada orientale, deve essere quindi ‘naturalmente’ resistente alle basse e bassissime temperature.
Pietro Puccio
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ma non ho capito se è una sorta di parassitismo della pianta ospite, oppure è solo un “alloggio” tipo epifita
Non è affatto una pianta parassita, solo un ospite che può diventare sgradito, infatti è sua abitudine, essendo la dispersione dei semi effettuata da volatili, germinare nei paesi tropicali e subtropicali, o dove trova un pò di umidità, sia su alberi che tetti, mura ed altri manufatti. Prorio per questo tipo di dispersione, la germinazione avviene solo in presenza di luce, saranno le radici aeree a nutrire la pianta fino a che non diviene definitivamente terrestre (magari strangolando chi l’ha ospitata).
Pietro Puccio
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Ciao Tomas e benvenuto!
Essendo tra coloro che conoscono la tua competenza ed esperienza, oltre che passione, nel campo che ci interessa, sono certo che il tuo sarà un validissimo contributo per tutti noi.
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Ciao Carlo,
quando l’ho messa a dimora (primavera 2002) appena ricevuta dal vivaio che sta sui Pirenei, era più o meno come la tua in foto. Da te a Messina dovrebbe andare meglio che da me, per la maggiore umidità ambientale e per il sottobosco che ti ritrovi. Pianta pure una ramsayi 😉 .
Pietro Puccio
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Grazie Domenico, tienila d’occhio. Io ricordo che il filiceto era una zona piuttosto buia, è così? Perchè ho due cespi di schiedeana, uno di provenienza Morici in parziale ombra, mai fiorito da oltre 10 anni, l’altro in pieno sole che fiorisce regolarmente.
Pietro Puccio
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Pietro, come va invece la Licuala peltata sumawongii?
Come va? Via col vento! Nel senso che il vento la rovina ad inizio inverno, del resto essendo esposta a Nord, Nord-est, senza alcun riparo, non potrebbe essere altrimenti. Ad ogni modo questo è il sesto inverno che è in piena terra e pur crescendo lentamente, fa foglie (3-4 all’anno) sempre leggermente più grandi. Ho solo questa pessima foto di agosto:
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Ciao Piera,
i tuoi interventi non potranno mai essere un disturbo, riguardo alla domanda se la mia diventerà blu, si può rispondere con “potrebbe”, più che con “dovrebbe”, perchè se anche la mia è nata da semi prelevati proprio da quella pianta (cosa molto probabile), data la variabilità della specie, non è affatto detto che assuma il suo aspetto. Aspetto che comunque dovrebbe assumere gradualmente ed in tarda età.
Pietro Puccio
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… semi di bromelie, in particolare della Etlingera elatior che sicuramente dalle mie parti non diventerà mai maestosa e forse non fiorirà 😎
Ciao e bentornato,
forse ti riferisci ad un’altra pianta, l’Etlingera elatior non è infatti una Bromeliacea, ma una Zingiberacea. In ogni caso è ipertropicale nelle sue esigenze, io ho provato due volte partendo da rizomi senza successo.
Pietro Puccio
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