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Visto che si è già accennato alle zone climatiche, quanto segue vuole essere un spunto (molto grezzo) di discussione per cercare di arrivare a qualche conclusione che possa essere di valido aiuto per tutti noi. Esistono molte classificazioni delle aree climatiche che tengono conto di vari parametri, ma in genere o non sono disponibili o sono poco utili ai nostri fini. Infatti la stragrande maggioranza delle informazioni sulla rusticità delle varie specie proviene da pubblicazioni o da siti web anglofoni, i quali da anni utilizzano il metodo proposto dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) per la indicazione delle zone climatiche. Questo metodo è forse il più impreciso, ma è certamente il più semplice e facile da adottare, e si basa esclusivamente sulla media dei valori minimi annuali di temperatura registrati in un congruo numero di anni. La suddivisione delle zone secondo tale metodo è riportata in molti siti, tra cui consiglio questo per le utili indicazioni che riporta:
http://www.usna.usda.gov/Hardzone/index.html
Il metodo, come detto, non tiene conto di tutti gli altri parametri climatici che intervengono sulla rusticità o meno ed in effetti è necessario apportare delle correzioni (lo hanno fatto negli USA nel disegnare la mappa delle zone) al fini di potere applicare i dati di rusticità in situazioni diverse da quelle di origine. Esistono alcune mappe dell’Italia più o meno dettagliate, ma a mio parere tenerne conto per l’introduzione di nuove specie subtropicali e tropicali porterebbe ad una strage. Fra le tante ‘diversità’ che possono incidere o addirittura stravolgere la classificazione vi è la durata del periodo freddo, infatti per ogni specie esiste un valore minimo di temperatura di sopravvivenza legato alla durata, classico esempio quello della Cocos nucifera che supera indenne a Miami temperature minime sporadiche più basse di quelle che si hanno a Palermo, dove però muore già a fine autunno-inizio inverno quando le temperature minime cominciano ad attestarsi sui 14 –16 °C.
A questo proposito ho raccolto dati (pubblici) sulle temperature di alcune stazioni meteo italiane per ricavare la relativa zona secondo il metodo dell’USDA. A parte miei errori, sicuramente presenti, ne risulta l’immagine di una Italia tropicale, cosa che tutti sappiamo non essere. Per tentare di chiarire questa incongruenza ho riportato le medie (30 anni) delle temperature minime giornaliere di dicembre, gennaio e febbraio delle stazioni italiane e quelle di tre località degli USA; è evidente a parità di zona la marcata diversità nelle temperature medie ed è proprio questo che fa la differenza (anche se non tutta).Visto che a noi interessa ricavare una mappatura del nostro territorio tale che siano applicabili le indicazioni di rusticità di letteratura, non possiamo utilizzare il metodo alla lettera. Una maniera per risolvere il problema è quello di partire dalle temperature minime assolute, ma correggere la zona risultante sulla base delle indicazioni di rusticità, o meno, di specie note e diffuse e per far questo occorre l’esperienza sul campo di tutti. Sempre come proposta iniziale ho inserito nell’ultima colonna quella che sulla base di indicazioni sulla rusticità di amici sparsi per l’Italia, nonché di informazioni raccolte nei vari forum di giardinaggio, potrebbe essere a mio parere una classificazione cautelativa.
Ciao a tutti e scusate la prolissità…
Pietro Puccio
Palermo, zona (USDA) 9b/10aPietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Ciao Pietro, leggendo e rileggendo l’interessante argomento da te proposto sulle zone climatiche d’Italia, non ho potuto far altro che riflettere sulla tua grande passione e competenza per questo singolare tema e per la tua pignoleria, peraltro auspicabile e giustificabile per la serietà dell’argomento trattato. L’unica poca cosa che posso dire, a causa della mia scarsa esperienza in merito, poichè è da poco che mi interesso di giardinaggio in genere con preferenza verso il tropicale, è il ricordo di un articolo apparso sulla Stampa di Torino di alcuni anni fa. Esso, in pratica, annunciava e giustificava la messa in dimora di molte piccole palme sulla via principale che da Torino conduce gli automobilisti verso il mare, chiamata per l’appunto, in quest’occasione, “la via del mare”. Sempre su questo articolo, molto probabilmente per giustificare la scelta di queste beneauguranti e insolite piante, si fece anche cenno all’inevitabile processo di tropicalizzazione che coinvolgeva Torino, così pure come altre città italiane. Fui colpito da quell’articolo senza preoccuparmi troppo della veridicità di quanto affermato (forse con troppa leggerezza) in tale occasione, o delle nefaste conseguenze che quel cambiamento climatico annunciato avrebbe potuto compiere sulla nostra povera Umanità. Senza badare a queste cose, dunque, appresi con gioia la notizia (con pari enfasi di quando annunciarono il colore in TV molti anni fa) sognando una Torino tropicale: non più invidia per quei caschi di banane ostentati fieramente nei giardini che circondano il Casinò di S. Remo.. o, sempre rimanendo in Liguria, per quelle splendide macchie di colore create dalla forza vegetativa delle generose Buganvillea….. Sono passati alcuni anni da allora, e devo riconoscere che qualcosa a Torino è cambiato: l’anno scorso ho assaggiato un frutto di fico d’India coltivato da mio cognato in piena terra, in buona posizione, e non era male! in questi giorni si parla di riattivare, dopo tanti anni di inattività, gli oliveti sparsi per il Piemonte con relativi frantoi dismessi da molto tempo!… Insomma , caro Pietro, “chi vivrà vedrà”, ed io, per guardare meglio dalla mia “finestra”, ho abbellito il balcone di casa, oltre che con le piante solite, anche con quelle “insolite” alle quali dedico molto tempo, passione e amore, fino ad ingelosire mia moglie! Chiedo scusa a tutti per la lunghezza rapportata al nulla di quello che ho detto ringraziando per la pazienza che vi ha portato fino a quì in mia compagnia.
Un saluto a tutti gli appassionati di piante tropicali e non, ed in particolar modo all’insostituibile Pietro Puccio dall’inesauribile vitalità.
Antonio Sabbetti
Antonio Sabbetti
Ciao a tutti,
ho letto attentamente il lungo discorso di Pietro Puccio e di conseguenza quello di Antonio che abita a Torino, quindi la mia città. Infatti, come dice Pietro, è sempre difficile classificare perfettamente la zona USDA di appartenenza. Io poi, che abito fuori Torino, ho una media invernale più bassa, per cui la cartina dovrei personalizzarla. Che dilemma!!
😡
Ciao Antonio,
ti ringrazio per le tue gentilissime parole e, sopratutto, per aver dato un interessante seguito ad un messaggio che voleva essere, nelle mie intenzioni, semplicemente uno spunto di discussione e occasione di scambio di informazioni su un tema, il clima, che ritenevo e ritengo importantissimo specie per appassionati di piante tropicali.
Una curiosità, poi le palme sono state messe a dimora?
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Citazione
Una curiosità, poi le palme sono state messe a dimora?
Pietro Puccio
Ciao Pietro, quelle famose palme furono messe a dimora, ed io, che abito nelle vicinanze, le rivedo ogni qual volta decido di farmi una lunga passeggiata al parco del Valentino, constatandone la loro lenta, ma salutare crescita.
In questi giorni di particolare fermento cantieristico per le imminenti olimpiadi, le vedo un pò a rischio per la costruzione in loco di un cavalcavia pedonale, indispensabile agli amanti del footing che non dovranno più rischiare la pelle per attraversare la trafficatissima, e altrettanto rischiosissima “Via del mare”.
Un affettuoso saluto
Antonio Sabbetti
Scusate se riprendo una discussione ormai vecchia di due anni,
ma secondo me l’argomento è molto interessante e può senz’altro
meritare ulteriori approfondimenti.
All’uopo vorrei fare alcune riflessioni, che possono costituire utili
spunti di discussione.
Quando parliamo per esempio delle temperature di Roma, considerato che i valori di riferimento vengono fornite dal servizio meteorologico dell’A.M. che ha i propri strumenti di misura presso gli aeroporti, ci riferiamo a:
-Roma Urbe sito sulla Salaria all’interno del GRA,
-Roma Ciampino sull’Appia appena fuori dal GRA,
-Roma Fiumicino sulla costa in prossimità della foce del Tevere.
Orbene le temperature minime e massime fra queste 3 località possono tranquillamente differire sistematicamente, e quindi in modo statisticamente significativo, di almeno due o tre gradi, che possono far classificare Roma in una zona climatica piuttosto che in un’altra.
Quindi le zone climatiche così come sono state concepite dall’USDA, riferite al clima degli Stati Uniti, possono rivelarsi di limitata utilità in una zona articolata ed eterogenea, meteorologicamente parlando, come lo è l’Italia, proprio a causa della sua morfologia.
Comunque va senzaltro condiviso l’approccio dell’indice di rusticità sulla base della temperatura minima.
Meditate gente, meditate.
domy
litorale nord roma
quote:
Orbene le temperature minime e massime fra queste 3 località possono tranquillamente differire sistematicamente, e quindi in modo statisticamente significativo, di almeno due o tre gradi, che possono far classificare Roma in una zona climatica piuttosto che in un’altra.
Ciao Domenico,
non solo concordo, ma rilancio! Possiamo avere due diverse zone climatiche (sempre secondo l’USDA) nello stesso giardino, sia pur piccolo. Se ci si trova in un’area climatica di confine (ricordo intanto che i limiti delle “zone” non sono limiti fisici), in presenza di un muro o costruzione, basta spostarsi da un lato esposto a nord a quello a sud per cambiare zona. Le mappe generali devono servire come primo approccio orientativo, poi ognuno, deve ricavarsi la propria, anche usando le specie “indicatrici”.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Buon giorno a tutti
Anche io sono contento che l’argomento sia stato ripreso, ma secondo me è talmente complesso che solo a pensare di scrivere qualche cosa di organizzato, mi viene mal di testa. Butto giù qualche idea così, se c’è interesse, possiamo approfondire.
1.La classificazione delle zone dell’USDA ha molti difetti, è un sistema di riferimento e assolutamente non una garanzia. Un miglioramento è stato tentato con le Sunset zones, basate sul calore medio annuo, ma mi pare che non abbia mai preso piede.
Per le zone USDA, prima di tutto vorrei definire in modo inequivocabile su che cosa si basa la classificazione, perché come ho potuto vedere, gli stessi Americani spesso la fraintendono. Scusate se ripeto quello che è già stato detto. Per ogni anno si prende la temperatura minima ASSOLUTA misurata in quel anno, si mettono insieme queste temperature per più anni e poi se ne fa la media. Secondo il valore di questa temperatura media minima assoluta (!) poi il posto viene classificato nelle zone. Il primo problema è che una gelata eccezionale durante un anno viene “assorbita” dalla media degli altri anni. Per esempio, la mia media può inserirmi nella zona 9b, cioè tra –4°C e –1°C, ma questo non vuol dire che nella mia zona non possono capitare temperature più basse. Questo può andare benissimo per chi coltiva per esempio i gerani, se ogni dieci anni le mie piante vengono distrutte, le ricompro e per 9 anni me le godo di nuovo. Ma se coltivo per esempio palme, è probabile che proprio nel momento quando la mia pianta sta diventando interessante, la gelata me la può uccidere.
2. Il 99% dei giardinieri che usano le zone USDA coltivano piante normali e non cercano di spingersi ai limiti per quanto riguarda le temperature.
3. Gli stessi appassionati negli USA riconoscono che c’è una differenza insanabile tra le stesse zone della Florida, della California, del Texas ecc.
4. All’interno della stessa zona ci sono tante variazioni come già detto, e ogni giardino è un microclima a sé stante e anche all’interno di un giardino ci sono tanti microclimi. Sul mio terrazzo durante una mattinata serena, fredda e senza vento posso misurare al centro 0°C e vicino ai muri sotto il cornicione +4°C. Tutto questo rende l’uso di classificazioni climatiche molto approssimativo. Oooops, vedo che ho scritto esattamente la stessa cosa che ha già ribadito Pietro. Conviene munirsi di un buon termometro e girare un po’ nel posto dove si coltiva. Nelle zone dove gela, si possono mettere dei contenitori con una piccola quantità d’acqua, così si scopre che in qualche angolo l’acqua è gelata, in un altro posto no.
5. Spesso il freddo non è la causa diretta della perdita di una pianta, ma questa trovandosi già in condizioni sfavorevoli, è meno resistente alle malattie, alla siccità, al vento. Anche il sole può causare danni.
Direi che ora basta J
Tomas
Condivido tutto quello che avete detto a proposito del clima e penso che non si possa aggiungere molto senza essere banali o ripetitivi.
Però adesso, siccome sono un pò perfido, voglio affrontare il problema dalla parte delle varie piante e posso dire che ci si capisce ancora meno.
le temperature minime indicate sui vari testi per le varie piante sono il più delle volte inattendibili. E’ pur vero che molte piante sono degli ibridi di cui non si conosce in modo preciso il nome, però non ci si raccapezza.
Io con questo sistema quest’anno ho massacrato un heliconia “olimpic flame’ (credo che sia un ibrido di heliconia stricta), anche se adeso messa in casa sta riprendendosi e sta buttando fuori una decina di nuovi getti. Credo che la causa sia dovuta alla temperatura scesa sotto i 10 gradi che probabilmente non è stata tollerata.
Poi una Cyathea Cooperi mi è stata bastonata credo da una settimana di vento di maestrale, che ha fatto appassire i getti della stagione. Adesso sembra che si stia riprendendo in una serretta fredda dove le minime vanno sui 6-7 gradi.
Invece delle Cattleye, degli Oncidium, dei dendrobium delle Cambria e degli zygopetalum sono rimaste fuori con temperature di 5 6 gradi senza riportare danni.
Addirittura dendrobium e Cattleye mi hanno fatto,appena messe in casa una fioritura rigogliosissima, ma di questo parleremo in un altra circostanza perche bisognerà affrontare l’argomento vernalizzazione e fotoperiodo, che esula da questo topic.
Le stesse phalaenopsis sono rimaste fuori fino a quando le minime sono scese sotto i dieci gradi senza soffrire minimamente.
Ciò in barba a quello che dicono le varie bibbie sulle Orchidee a partire da quelle della Rittershausen.
Io non ho più certezze, giudicate voi.
domy
litorale nord roma
Comincia una discussione sulle orchidee e avrò da dire qualcosa anche io.
Sono perfettamente d’accordo che la Cyathea cooperi si secca col vento.
Tomas
Scusate, mi sembra si stia mettendo “troppa carne al fuoco”, forse è opportuno esaminare più attentamente caso per caso. Personalmente ritengo che, spinti dall’entusiasmo, siamo portati molto spesso a trarre conclusioni affrettate riguardo la “rusticità” o meno delle piante di nostro interesse. Ho avuto modo anche io di sperimentare che non sempre ciò che è scritto sui libri corrisponde alla realtà, ma molto, molto meno di quel che si ritiene generalmente. Non teniamo spesso nel debito conto che chi scrive un libro od un articolo nel dare una indicazione, in particolare una cosa così importante come la temperatura minima di coltivazione nel campo delle tropicali, deve tenere conto, per quanto possibile, di tutti i parametri che intervengono a modificare la temperatura che provoca danni irreparabili, fino alla morte, parametri che hanno sicuramente un peso diverso ad esempio a seconda delle modalità e dei luoghi di coltivazione, deve dare quindi dei valori che siano giustamente cautelativi. Le temperature minime riportate nei libri (seri) non sono da intendere come la temperatura che provoca la morte della pianta, ma la temperatura che in situazioni e condizioni possibili, anche se infrequenti, può provocare danni. Un esempio che porto di frequente, e che chiunque può verificare, è quello della Cocos nucifera, chi ha la famosa enciclopedia “Tropica” troverà nelle prime pagine le temperature minime di alcune località nella fascia che l’autore considera di interesse, in particolare troverà per Miami -3°C e per Palermo +3°C (e non è un errore) e visto che a Miami crescono le Cocos ne discenderebbe che dovrebbero crescere, a maggior ragione, a Palermo. Invece non è così perché interviene un parametro importantissimo a modificare la situazione, la durata del periodo di basse temperature. A Miami si può avere un abbassamento di temperatura fin sotto lo zero della durata di poche ore con temperature, prima e dopo dell’ordine di 20°C o più che non provoca danni irreparabili, mentre altrove, con temperature costanti per più giorni intorno a 10-11 °C si può avere la quasi certezza della morte della pianta, specie se giovane. Se io dovessi consigliare una temperatura minima di coltivazione valida per Miami, Los Angeles o Roma direi senza dubbio +16°C, naturalmente verrei preso per pazzo ignorante da chi vive a Miami (in realtà lì conoscono benissimo la loro particolare situazione), ma io avrei la coscienza a posto perché ben poche piante, e solo se pessimamente coltivate, morirebbero a Roma o Los Ageles, mentre sarebbero una infinità se consigliassi -3°C.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Credo proprio che voler fare una mappatura USDA dell’Italia sia un’ardua impresa. Secondo me sarebbe buona cosa considerare le specie vegetali che crescono nelle varie zone e loro fioritura o apertura delle gemme.
Ad esempio il mandorlo, che da me sta’ fiorendo da alcuni giorni mentre nella vallata di Albenga, a pochi km, fiorirà tra due settimane.
Controllando le date di fioritura nelle varie zone in cui cresce si potrebbe già avere un’indicazione abbastanza precisa.
Credo che la fioritura sia condizionata sia dalle temperature che dalla durata delle ore di luce.
Stesso discorso credo sia valido per piante selvatiche come il terebinto o la roverella (Quercus pubescens).
Paolo
un blog di caprette, ulivi e curiosità vegetali:
http://caprettetibetane.splinder.com
Forse hanno ragione quegli Inglesi che dicono “considero una pianta rustica fino a quando non l’ho ammazzata personalmente almeno due volte”?
Seriamente, penso che a voler essere troppo universali, si diventa troppo astratti e quindi le informazioni diventano inutilizzabili.
Gli appassionati di piante tropicali che devono fare i conti con il freddo vivono principalmente in Florida, California, Australia meridionale, Sudafrica, Nuova Zelanda, Europa meridionale e Inghilterra. Io ho un po’ imparato a conoscere i loro climi e quindi posso apportare le correzioni alle informazioni che vengono da quelle zone, più di così credo non si possa fare. Tra questi solo la Gran Bretagna e una parte della Nuova Zelanda hanno le temperature medie invernali più basse delle nostre. Anche quando consulto un libro, cerco sempre di tenere presente da dove viene l’autore. Alla fine poi tocca provare noi stessi, e per fortuna ci sono molte piante anche tropicali che reggeranno non solo la temperatura minima assoluta ma anche il freddo prolungato.
Sempre considerando il fatto che una carta delle zone climatiche è solo un punto di partenza (per il fatto di microclimi, lunghezza della stagione fredda, la quantità degli estremi …), trovo abbastanza buona quella basata sulla classificazione del Lauretum freddo-caldo, Castanetum ecc., forse con una piccola correzione per la Liguria.
Tomas
quote:
Ad esempio il mandorlo, che da me sta’ fiorendo da alcuni giorni mentre nella vallata di Albenga, a pochi km, fiorirà tra due settimane.Controllando le date di fioritura nelle varie zone in cui cresce si potrebbe già avere un’indicazione abbastanza precisa.
Chiedo scusa, ma ci siamo già abbastanza incasinati in proprio e se adesso mescoliamo pure capacità di sopravvivenza e capacità riproduttiva finiamo nel pallone più completo.
E’ pur vero che una pianta prima di soccombere cerca di fiorire e riprodursi però ritengo che le due attività obbediscano a logiche completamente diverse e quindi mescolarle non ci porta molto lontano.
Cercherò di aprire un altra discussione per confrontarci pure su quest’altro punto.
😉
domy
litorale nord roma
Per quel che può servire e per evitare fraintendimenti 🙂 , riassumo qui alcune cose dette in altre discussioni.
In primo luogo non sono il difensore ufficiale di questo metodo, semplicemente essendo da oltre 40 anni affetto da mania acclimatatoria, ho avuto modo di constatare che tale metodo, se correttamente applicato e correttamente interpretato, è capace di rispondere velocemente, nella maggioranza dei casi, ed al momento come nessun’altro, con sufficiente attendibilità alla domanda: posso coltivare nel mio giardino una pianta che non lo è mai stata (o non ne sono comunque a conoscenza) nella zona in cui vivo? Per far ciò ne consegue che devo necessariamente fare riferimento all’esperienza di coltivazione in zone diverse (a volte molto) dalla mia., non serve pertanto – a questo scopo – conoscere il comportamento delle specie naturali o naturalizzate e nemmeno sapere che la zona in cui vivo viene genericamente definita come lauretum, fagetum ecc. perché le esperienze a cui devo fare riferimento riguardano (in particolare per noi tropicalofili) zone in cui questa suddivisione non esiste e forse nemmeno conosciuta, mentre è ampiamente utilizzato questo metodo. Internet in tal senso aiuta moltissimo, ma non bisogna dimenticare che non esiste alcun filtro o controllo e che quindi non bisogna mai fermarsi al primo sito che si trova, occorre anche qui saper valutarne l’attendibilità, ma basta un po’ di esperienza e credo che qui ne abbiamo molta.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Beh, Pietro, non dimenticare che le esperienze sulle piante tropicali arrivano anche dall’Italia, soprattutto dal laureto caldo 😀
Tomas
quote:
Beh, Pietro, non dimenticare che le esperienze sulle piante tropicali arrivano anche dall’Italia, soprattutto dal laureto caldo 😀
Tomas
Verissimo, ma prova a scrivere in un forum internazionale che la tal pianta è coltivabile nel warm lauretum 🙂 .
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
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Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Come nuovo aderente al Forum, se mi posso permettere di inserirmi nell’importantissimo argomento delle zone USDA per l’Italia, vorrei confermare a pieno titolo l’osservazione di Pietro Puccio relativa alla necessità di considerare la durata del periodo freddo e, in particolare, di quello delle gelate. Il rango termico delle minime assolute, da solo, dice poco. In Milano (è pur vero che le metropoli beneficiano di condizioni serra)il periodo delle vere gelate, negli ultimi anni sempre più rare, non inizia comunque prima della fine di novembre e non termina dopo la metà di marzo, anzi, praticamente finisce con febbraio. In tali condizioni non stupisce ormai di trovare Washingtonia robusta adulta, magnificamente sviluppata in piena terra lungo il naviglio della Martesana, Serenoa repens e Trachycarpus latisectus, “fiori all’occhiello” sul terrazzo dello scrivente, Cobaea scandens perfettamente perenne nei Giardini Pubblici presso il Museo di Storia Naturale di Milano e via di seguito. Credo che nell’accezione originale del sistema USDA questi elementi vadano considerati per meglio definire le zone stesse. In questo senso, penso di dover riconoscere per Milano proprio la zona 8b.
A presto!
Benvenuto!
Riguardo questa discussione mi preme ricordare che quanto scritto nel messaggio di apertura vuole essere un spunto (molto grezzo) di discussione per cercare di arrivare a qualche conclusione che possa essere di valido aiuto per tutti. Che per correggere la zona risultante … occorre l’esperienza sul campo di tutti. Che l’ultima colonna della tabella è una proposta iniziale e che il periodo di osservazione deve essere di un congruo numero di anni, ed in climatologia solitamente si fa riferimento a 30 anni. Anche per le piante indicatrici il periodo di osservazione dovrebbe essere sufficientemente lungo e non è necessario l’esperienza diretta, si può utilizzare vantaggiosamente quella altrui 😉 . Ricordo infine che degli ultimi trenta anni fa parte anche il 1985…
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
quote:
Ricordo infine che degli ultimi trenta anni fa parte anche il 1985…Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro, non farmi venire i sudori freddi… ricordo perfettamente quella settimana a -4° giorno e notte, con un sole che forava a malapena la foschia sul mare, ghiaccio sui marciapiedi dove erano scoppiate le tubazioni esterne e i contatori d’acqua.
Per fortuna siamo a febbraio, con perturbazioni atlantiche anche nelle previsioni. Siamo fuori dal tunnel???
Paolo
un blog di caprette, ulivi e curiosità vegetali:
http://caprettetibetane.splinder.com
Caro Paolo,
beato te a – 4, qui a Torino non ricordo la temperatura, ma la neve era alta sui 60 cm. Ho fatto con mia figlia un pupazzo di neve che era alto quasi quanto la casa.
lulù
Qua a Roma l’Aurelia era sotto 20 cm di neve e alla stazione di Roma Termini gli scambi erano ghiacciati e così i treni non riuscivano ad entrare ed uscire.
In quella circostanza persi una strelitzia in vaso perchè gli si sono ghiacciate le radici.
domy
litorale nord roma
Per chi volesse rivivere quelle giornate a Roma
http://it.youtube.com/watch?v=OD5KZJ9EGvQ&NR=1
Comunque, anche se non ha fatto freddo come nel 1985, la neve del 1986 era molto più impressionante
http://it.youtube.com/watch?v=Dq-YDkeVp_U
Tomas
Ciao Pietro ed un saluto a tutti!
Una piccola presentazione prima di cominciare. Mi chiamo Gabriel e da alcuni anni cerco di coltivare piante mediterranee e subtropicali a Lugano nel tipico clima dei laghi dell’Italia settentrionale ( Zona 9a, ma so che Pietro mi tirerà le orecchie )
Caro Pietro, vorrei prima di tutto ringraziarti per aver rilanciato il tema delle zone climatiche, per la tua tabella molto interessante e in genere per tutto quello che vai facendo da tanti anni per arricchire le conocenze acclimatorie in Italia e non solo.
Per quanto riguarda la colonna di correzione su quali criteri ti sei basato?
Per quanto riguarda le classificazioni penso che le piante indicatrici siano comunque un riferimento importante. In Francia lo usano molto (pochissimo invece il sistema americano) e secondo me con un certo successo. Li i Trachycarpus li coltivano anche in Alsazia, ( che in confronto Torino è Miami )
Oltre alle classiche piante (olivo, arancio) si potrebbero usare anche la mimosa (acacia dealbata),kumquat,limone, cedro,limetta e le palme più coltivate. Queste piante sono coltivate ad amplissimo raggio e potrebbero quindi servire da riferimento anche quando si scambiano esperienze con coltivatori di altri continenti.
Per il resto concordo con quanto detto nei precedenti interventi, e vorrei chiediere a Crocothyrsos se ha delle foto delle esotiche milanesi. Trovo sia molto interessante.
Bene per il momento finisco di annoiarvi e vi mando due link di album fotografici.
Il primo riguarda delle fotografie di esotiche della mia regione, il secondo di Christian Gianinazzi, oltre che mostrare foto di esotiche da lui coltivate del canton Ticino, mostra anche il risultato di acclimatazioni fatte a nord delle Alpi.
http://community.webshots.com/user/gabdeambrogi
http://community.webshots.com/user/christian_g
Ottima serata,
Gabriel
Ciao a tutti,
riporto la mia esperienza di acclimatazione di alcune specie. Ho posizionato in piena terra, alcuni anni fa:
Caesalpinia gilliesii, a sud-est,ha superato 4 o 5 inverni poi un inverno è “deceduta.
Acacia dealbata, a sud, stessa cosa, lo scorso anno l’ho ripiantata e adesso ha superato i freddi di quest’anno e finora è bella rigogliosa, con le sue foglioline.
Melia azedarach, non ha superato nemmeno un inverno.
Invece in piena terra, da tanti anni, ho una Musa basjoo che cresce vigorosa, pur morendo ogni anno la pianta madre ma i polloni arrivano sui 3 metri nell’annata:
Tetrapanax papyriferus che si comporta allo stesso modo della Musa, arriva a fiorire in autunno, ma la pianta madre in inverno muore, in primavera cominciano a crescere i polloni:
Da qualche anno cresce semisempreverde la Rosa banksia, in posizione non protetta.
Devo dire che la mia zona è a nord di Torino, rispetto a questa la temperatura invernale scende di 2-3°C.
Il mio giardino non ha lati protetti ma questa è una zona non ventilata e poco nebbiosa.
La minima registrata fino adesso è di -5°C.
Secondo le esperienze riportate da clienti che vedo alle Mostre, il mese più critico al nord è Marzo, piante subtropicali che hanno superato l’inverno muoiono in questo mese. Questo perchè le radici hanno “assorbito” umidità invernale e muoiono in questo periodo per asfissia o perchè non facendo più gli inverni di una volta cominciano già a vegetare precocemente e quindi un ritorno di freddo è nocivo?
Lulù
Scordavo:
Acca sellowiana, posizionata in piena terra alcuni anni fa, protetta con tessuto non tessuto per 2 anni suprando così l’inverno. Riusciva a fruttificare ( ne avevo un solo esemplare )ma i frutti erano più piccoli e non maturavano bene prima che venisse l’inverno. L’anno che non l’ho protetta è morta. Era abituata ad avere la sciarpa! 😉
Lulù
Ciao Gabriel e benvenuto!
Riguardo l’ultima colonna, ribadisco che è da considerare una proposta iniziale, tanto per avere un punto di partenza, basata sul comportamento delle piante indicatrici, che del resto sono parte integrante del metodo.
Anche se è abbastanza ovvio 😉 che in Francia vi sia una notevole resistenza ad utilizzare un metodo non nazionale, il metodo USDA viene utilizzato ad es. da non pochi “Fous de palmiers”.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
quote:
Ciao a tutti,
riporto la mia esperienza di acclimatazione di alcune specie.
Lulù
Grazie Lucia,
finalmente un contributo positivo!
Caesalpinia gilliesii ed Acca sellowiana sono da considerare due ottime piante indicatrici, su di esse infatti vi è generale accordo sul considerarle da Zona 8a in su. Poichè sono ambedue decedute in inverno, e quindi con elevata probabilità a causa delle basse temperature, la tua zona è da considerare al più (almeno fino a prova contraria) 7b.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
Pietro
Palermo
Zona (USDA) 9b
https://www.monaconatureencyclopedia.com/enciclopedia/piante/
Ciao Pietro,
grazie mille per la risposta. Effettivamente i francesi sono restii ad usare sistemi che non siano i loro ed è pur vero che molti acclimatatori stanno cominciando ad usare il sistema americano. Ciò nonostante, noto che nella folta e recente produzione libraria il sistema delle piante indicatrici è ancora prevalente. Dalla mia pur scarsa esperienza, ho notato ad esempio che i tedeschi ed i francesi, usano il sistema delle zone USDA traendo da questo uso risultati molto disomogenei e fondandosi poco sulle piante indicatrici previste da quel sistema. Se può essere utile alla discussione concreta, mando un link riguardante piante indicatrici considerate dal National Arboretum. http://www.usna.usda.gov/Hardzone/hrdzon5.html
Personalmente trovo questa lista abbastanza affidabile e mi permetto di attirare l’ attenzione su alcuni esempi che possono interessarci in quanto acclimatatori:
Araucaria araucana 7b
Eriobotrya japonica 8
Nerium oleander 8b
Butia capitata 8b
Bauhinia variegata 9b
Euphorbia pulcherrima 10
Altri esempi (secondo me alcuni discutibili) li troviamo al seguente link:
http://www.usna.usda.gov/Hardzone/hrdzon4.html
Vi propongo di entrare nel vivo e di cercare di cercare piante che potrebbero essere un vero riferimento.
Ad esempio, proporrei sullo spunto della foto di Lulu, il Musa basjoo. Si sa che il fogliamo resiste sino a -1°C -2°C. i tronchi fino a -8°C/-10°C, e il rizoma anche sotto i -15°C senza protezione. Una pianta sola che potrebbe essere utile per descrivere più zone.
Per quanto riguarda la Acca sellowiana e la Caesalpinia penso sia più utile pensare alla zona 8b. Queste due specie secondo le esperienze di cui sono a conoscenza non sono più resistenti degli oleandri, anzi…..
Un salutone,
Gabriel
Ciao Gabriel e benvenuto!
Riguardo l’ultima colonna, ribadisco che è da considerare una proposta iniziale, tanto per avere un punto di partenza, basata sul comportamento delle piante indicatrici, che del resto sono parte integrante del metodo.
Anche se è abbastanza ovvio 😉 che in Francia vi sia una notevole resistenza ad utilizzare un metodo non nazionale, il metodo USDA viene utilizzato ad es. da non pochi “Fous de palmiers”.
Pietro Puccio
Palermo
Zona climatica 9b/10a (USDA)
Temperato subtropicale (Koppen)
[/quote]
Grazie mille Lulù, per queste belle foto e per le esperienze acclimatatorie.
Trovo interessantissimo il comportamento del Tetrapanax. Non sapevo che potessere rigenerarsi regolarmente come il Musa.
Tanti saluti
Gabriel
Ciao a tutti,
riporto la mia esperienza di acclimatazione di alcune specie. Ho posizionato in piena terra, alcuni anni fa:
Caesalpinia gilliesii, a sud-est,ha superato 4 o 5 inverni poi un inverno è “deceduta.
Acacia dealbata, a sud, stessa cosa, lo scorso anno l’ho ripiantata e adesso ha superato i freddi di quest’anno e finora è bella rigogliosa, con le sue foglioline.
Melia azedarach, non ha superato nemmeno un inverno.
Invece in piena terra, da tanti anni, ho una Musa basjoo che cresce vigorosa, pur morendo ogni anno la pianta madre ma i polloni arrivano sui 3 metri nell’annata:
Ammaliato dalla bellissima fotografia del magnifico Tetrapanax, non ho più visto la parte concernente il mese di marzo come momento critico per le piante delicate nel nord Italia. Anch’io posso testimoniare che questo periodo può essere critico. Secondo me è proprio il fatto che in marzo la vegatazione è in piena ripresa ed in queste condizioni anche una scarsa gelata può avere gravi effetti. Vi è poi da dire che a volte i minimi dell’inverno si possono raggiungere proprio in marzo. A questo proposito ricordo che gli unici danni (fogliari) avuti in 16 anni a uno dei miei due aranci (l’altro rimase indenne) si sono verificati nella prima settimana di due mesi di marzo successivi (2005 e 2006) con punte di temperatura intorno a – 5°/-6°C in situazione di inabituale umidità. La pianta si riprese poi facilemente già in aprile e a in maggio fiorî abbondantemente arrivando a fruttificare normalmente. Vorrei cogliere anche l’occasione per fare un’appello agli appassionati che talvolta decretano con troppa facilità la morte di una pianta estirapandola prima che possa eventualemente riprendersi. Lo dico perché nella mia zona è purtroppo un’abitudine abbastanza radicata e magari questa pratica è riscontrabile anche in altre regioni.
Ottima serata,
Gabriel
Ciao a tutti,
riporto la mia esperienza di acclimatazione di alcune specie. Ho posizionato in piena terra, alcuni anni fa:
Caesalpinia gilliesii, a sud-est,ha superato 4 o 5 inverni poi un inverno è “deceduta.
Acacia dealbata, a sud, stessa cosa, lo scorso anno l’ho ripiantata e adesso ha superato i freddi di quest’anno e finora è bella rigogliosa, con le sue foglioline.
Melia azedarach, non ha superato nemmeno un inverno.
Invece in piena terra, da tanti anni, ho una Musa basjoo che cresce vigorosa, pur morendo ogni anno la pianta madre ma i polloni arrivano sui 3 metri nell’annata:
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