• Open
  • Antonio 46
    Partecipante
      23 Novembre 2012 alle 10:24 #3547

      Cari amici,
      voi penserete ad uno scherzo….e invece no!

      Quante volte, così come a me, vi sarà capitato di ritrovarvi a riflettere di fronte al tronco defogliato ed esanime della vostra cara pianta senza capire se la medesima fosse ancora viva oppure ormai irrimediabilmente defunta?
      …e quanto tempo passerà prima di avere la conferma della sua definitiva dipartita?

      …per quanto dovremo resistere alla tentazione di scavare nervosamente con le nude dita intorno alle radici della nostra essenza per valutare o meno la vitalità del moncherino inerte che da troppo tempo ormai, pur se volutamente nascosta dietro le altre piante, tristemente la rappresenta?

      …per quanto tempo, inoltre, il nostro cuore dovrà palpitare nel vortice della speranza e della disillusione prima di rassegnarci all’evidenza dei fatti?

      …ed infine, per quanto tempo ancora dovremo attendere prima di poter utilizzare il prezioso spazio occupato inutilmente e indebitamente dai resti spettrali della nostra defunta essenza?

      Se le nostre piante potessero parlare, tutte queste domande sarebbero ovviamente inutili, (oltre al fatto che ogni tanto dovremmo azzittirle così come facciamo qualche volta e bonariamente con i nostri amati figli o nipotini), e invece ci dobbiamo sforzare di capirle interpretando i loro silenziosi ma eloquenti messaggi: foglie macchiate, avvizzite o dal portamento prostrato sono alcuni segnali evidenti di sofferenza e di stress che ci fanno scervellare nella ricerca di una soluzione logica e, per quel che riguarda la certezza della loro morte, sarà confermata e tale se non dopo, come detto sopra, un tempo apparentemente interminabile (vuoi per l’influenza della nostra partecipazione emotiva che per la giustificata, tardiva rassegnazione) e non prima, comunque, di aver constatato visivamente e concretamente lo stato necrotico e non più vitale del fusto e dell’apparato radicale della nostra sfortunata essenza.

      Non chiedetemi, cari amici, una spiegazione scientifica di quanto vado a dire, ma rimane il fatto che già da tempo, trovandomi davanti ad una situazione analoga a quella sopra e appena descritta, mi viene naturale e spontaneo di stringere fra le dita delle mani un ramo o il fusto sospetto per percepirne lo stato di salute e… la sua temperatura!
      Si, cari amici, avete capito bene!

      Normalmente, quando la pianta è palesemente sana e giovane, ciò che si prova stringendo delicatamente fra le mani il suo tenero tronco o i suoi verdi rami, è la sensazione di freddo e di umido nel contempo, (proprio come quando si sfiorano le mani sudate e fredde di un giovane pianista terrorizzato dalla sua prima esibizione), mentre in un fusto secco e non più vitale, al contrario, la sensazione tattile è di un asciutto e sospetto tepore.

      E’ ovvio che non è facile percepire questi valori praticamente impercettibili ad un esame superficiale del soggetto in questione, ma con l’esercizio e la giusta concentrazione si potrà sicuramente sviluppare una particolare sensibilità e capacità utile alla rilevazione immediata del grado di salute o meno della nostra pianta, suffragato dalla valutazione manuale e visiva di flessibilità: maggiore nel ramo verde, ancora vitale e attraversato dalla linfa, minore nel medesimo ramo non più verde, meno elastico e ormai definitivamente secco.

      Per spiegare e giustificare questo curioso fenomeno in modo empirico e non propriamente scientifico, potremmo paragonare la struttura del tronco o i rami di una qualunque essenza, alla struttura di un comunissimo oggetto scoperto e utilizzato dall’uomo fin dalla notte dei tempi per mantenere fresca l’acqua o il vino in modo del tutto naturale: la “Quartara” , un derivato più piccolo della Giara!

      Sempre in terracotta e di facile trasporto, la “Quattara”, (in dialetto siciliano), accompagnava fedelmente il contadino fra i campi arroventati dal sole per garantirgli in qualunque momento della giornata una fresca e dissetante sorsata d’acqua.

      In pratica, come detto sopra, la struttura molecolare e porosa dei due elementi, uno minerale (terracotta) e l’altro vegetale, consente ai liquidi o alla linfa, (nel caso specifico della pianta), di scorrere all’interno di essi disperdendo o trasudandone all’esterno una piccolissima quantità che con la conseguente evaporazione e per effetto del contatto con l’aria, così come succede con il sudore della nostra pelle, permette ai soggetti in questione di abbattere sensibilmente la propria temperatura oggettiva rispetto la temperatura ambiente.
      Questo fenomeno è anche riconducibile, quale esempio pratico, al classico raffreddamento della minestra eccessivamente calda con il semplice soffiarci sopra: non è la temperatura del nostro respiro, (peraltro tutt’altro che freddo), a raffreddare la minestra ma è la velocità del soffio o dell’aria medesima esercitata sulla superficie dell’alimento a trasformare le molecole del liquido in sostanza gassosa, abbassando di conseguenza e per un fenomeno chimico la sua temperatura.

      Questo, dunque, è quello che succede alla nostra pianta la quale, esattamente come noi e per quel fenomeno cosiddetto della “traspirazione”, rilascia anch’essa del liquido attraverso i pori di superficie per mitigare e limitare le conseguenze del gran caldo, segnalando con la sua appena percepibile freschezza e ai più attenti e sensibili fra noi, il suo presunto stato di salute.

      Ultimamente ho assistito, e per ben due inverni consecutivi, alla progressiva dipartita di due piante adulte e molto fragili di Acerola, (Malpighia Glabra), ricoverate in veranda insieme alle altre numerose tropicali:

      esattamente come la prima, deceduta l’anno prima durante l’interminabile inverno torinese, anche la seconda essenza, acquistata per proverbiale testardaggine e dopo la sua miracolosa fruttificazione estiva, ha cominciato in autunno inspiegabilmente a defogliarsi per rimanere in questa condizione di apparente, sospetto riposo vegetativo alcuni mesi e durante tutto il periodo di permanenza in veranda.

      E’ proprio in questa particolare circostanza, dunque, che ho scoperto il fenomeno di cui sopra, tastando istintivamente e ripetutamente con le mani i rami dell’essenza ormai apparentemente senza vita e percependo il sensibile variare della sua temperatura nel tempo, progressivamente a partire dai rami apicali e fino alla base del suo tronco, comparata poi con quella delle sue consorelle sane, giorno per giorno e così fino alla sua morte.

      Cari amici, non è che questo curioso metodo appena suggerito e che implica maggiore sensibilità verso l’oscuro, misterioso “mondo vegetale” rappresenti una panacea per qualunque caso o per qualunque essenza; esso costituirà tuttavia un ausilio e un arma di comparazione in più a nostra disposizione per la prevenzione e per un’ulteriore valutazione dello stato di salute delle nostre amate piante. 🙂

      Scritto Da – Antonio 46 il 23 Novembre 2012alle ore 19:05:37