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Cari amici,
tutto è cominciato lo scorso anno in un negozio etnico di Torino dove ho scoperto ed acquistato per la prima volta questo insolito e straordinario frutto dal nome di “Lulo” (così chiamato in Colombia) o “Naranjilla” (piccola arancia in Ecuador).La pianta che produce questo caratteristico frutto e che nei luoghi d’origine raggiunge le dimensioni di tre metri circa, ha un’affinità con la melanzana, il pomodoro e la patata.
La specie “Solanum Quitoense”, di origine andina e che cresce in alta quota, prende il nome da Quito, la capitale dell’Ecuador ma è conosciuta e coltivata in tutto il Sudamerica per i suoi frutti succosi ed ipervitaminici; Infatti, la notevole acidità del frutto che comprai l’estate scorsa e che consumai con fatica, denotava per l’appunto una considerevole quantità di vitamina C.
Una buona parte della sua polpa gialla e profumata la spalmai su di una carta Scottex che misi ad asciugare in una posizione ombreggiata della mia veranda per la finalità della semina; nei giorni successivi, ogni volta che mi avvicinavo involontariamente a quei numerosi ma piccoli semini, ne percepivo il profumo intenso ed inebriante, difficilmente descrivibile.
Con grande stupore mi accorsi della loro facile germinazione e dell’incredibile quantità di giovani virgulti sbucati dal poco terriccio contenuto nel bicchierino di plastica.
Non fu difficile azzardare il trapianto singolo di alcuni germogli precocemente sviluppati, regalando poi successivamente a Paolo la rimanenza delle altre piantine in esubero.Arrivò l’estate e mi accorsi subito della vigoria di questa particolare essenza che cresceva a vista d’occhio e che richiedeva di continuo nuovi trapianti e nuovi spazi, occupati man mano dalle sue enormi e spinose foglie, le stesse che servirono alla medesima pianta per sopravvivere nell’Era Giurassica e difendersi così dai dinosauri!
Una pianta adulta di Solanum Quitoense fotografata questa primavera nel Giardino Botanico di Villa Hambury.
Gli unici due esemplari di S. Quitoense rimasti e sopravvissuti alle mie inesperte cure, morirono successivamente durante lo scorso inverno per marciume al colletto: la caratteristica di questa pianta, infatti, (e sempre parlando di coltivazione in vaso), è di aver un colletto fine e sproporzionato rispetto alle dimensioni del tronco principale e di conseguenza una peculiare vulnerabilità agli eccessi idrici che devono essere drasticamente ridimensionati all’approssimarsi dell’inverno.
All’inizio di questo anno e da un piccolissimo seme sfuggito al mio controllo, nacque involontariamente una piantina all’interno della bottiglia che ospitava il Durio Zibethinus; decisi successivamente e a malincuore di eliminarla per non compromettere la sopravvivenza della già delicata e rara essenza.
A febbraio di quest’anno, insieme alle numerose tropicali ereditate da Paolo, portai a casa anche una delle mie piccole piantine di Solanum Q. che il caro amico aveva trapiantato singolarmente in minuscoli bicchierini di plastica e che erano miracolosamente sopravvissute alla rigidità dello scorso inverno, sia pure all’interno della sua serra.
Memore dell’esperienza acquisita, ho coltivato fino ad oggi questa incredibile essenza che ha richiesto tre trapianti nel giro di pochi mesi, occupando, con le sue enormi e spinose foglie di 55 centimetri cadauna, una buona parte del mio balcone, impedendo a me e a mia moglie di poter utilizzare la porta della camera da letto che porta sul medesimo balcone!
Quando la pianta aveva ancora delle dimensioni gestibili ho scritto all’Orto Botanico di Torino per un eventuale affido senza ricevere risposta alcuna, ma poi, con la successiva fioritura e concreta speranza di fruttificazione (favorita anche da una concimazione specifica), e visto l’impossibilità di poterla ormai smuovere da quella posizione, ho convinto mia moglie a tenerla per tutta l’Estate…
e per l’inverno prossimo?
…se qualcuno si candiderà per l’affido, contatteremo sicuramente una ditta specializzata in trasporti eccezionali! 😀
AntonioAntonio Sabbetti
Torino zona USDA 7B
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