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Buongiorno
così, giusto per curiosità, le immagini dell’apertura di una capsula verde di Phaius tankervillae in ambiente asettico, all’interno della cappa a flusso laminare del mio laboratorio di riproduzione in vitro e micropropagazione.
Per evitare di dover sterilizzare i semi di una capsula aperta perchè matura, spesso si cerca di seminare capsule ancora verdi, ma abbastanza mature da garantire la vitalità dei semi in essa contenuti: poichè i semi sono ermeticamente contenuti all’interno della “buccia” della capsula, si presume siano sterili. Semi non sterili, quasi sempre conducono all’infezione del substrato su cui vengono seminati, uccidendo le piantine, o i semi.
La capsula: la “polverina” bianca sono i semi
I semi sono così piccoli poichè, quasi sempre, i semi delle orchidee sono quasi sempre privi di una quantità rilevante di endosperma: c’è una cuticola che racchiude l’embrione, l’embrione stesso e poco altro.
La strumentazione per la disinfezione della capsula e la sua apertura…
Una visione generale della cappa…
In questi giorni sto cercando di riprodurre lo stesso Phaius da meristema: speriamo, dato che è un po’ più complicato!
Ciao
Tasha
Monza
Wow!
😮 😮 😮 😮 !!
Spero riesca a riprodurre la “mia” Sedirea 😉
Saluti
Giuliana
Scritto Da – giuliana on 13 Agosto 2011 19:41:26
Per Federico e Giuliana: visto che ce l’ho fatta? Grazie per avermi sostenuto moralmente in questa impresa 😉
Per Giuliana: certamente, anche se ci vorrà molto tempo: nel frattempo la custodisco gelosamente 😀
Sempre per curiosità, le immagini di un meristema apicale espiantato da tre giorni: al momento è un “cubotto” millimetrico di cellule che, tra alcune settimane, comincerà a generare del tessuto tumorale più o meno indifferenziato che, successivamente, attraverso le sollecitazioni di alcune sostanze (ormoni), svilupperà delle piccole strutture, dette PLB, che a loro volta genereranno, attraverso passaggi su substrati diversi con diversi ormoni, delle piantine complete.
Buona giornata!
Tasha
Monza
complimenti ! sai riprodurre solo orchidee o hai sperimentato anche con altre piante?
Salve!
Sono prevalentemente orientato verso le orchidee e le Agave: comunque, le colture sono cominciate da pochi mesi.
A questo punto della mia esperienza, posso dire che, con alcune piante, il protocollo è stato assai efficace (con Vanilla planifolia e Phalaenopsis sono già alla seconda generazione in vitro! Vanilla planifolia, in particolare, si è rivelata una pianta assai rispondente alla coltivazione in vitro).
Comunque non è certo facile come potrebbe sembrare l’idea di togliere un pezzettino di pianta e metterlo sopra una specie di budino trasparente… All’inizio pensavo fosse più o meno così… Invece ogni pianta ha le sue specifiche esigenze di temperatura, luce, ormoni, acidità del substrato, tempi e, soprattutto, ogni propagatore deve affinarsi sul campo (anche uno zuccone come me), col tempo, e studiare molto perchè sono molte le cose da sapere. Oltre a tutto ciò, come se non bastasse, ci sono le infezioni, sempre all’agguato, che invadono i terreni di coltura uccidendo gli espianti.
E che dire degli espianti di alcune specie (Phalaenopsis in primis, ma non solo) che hanno la sgradevole attitudine di emettere, da sole, delle sostanze nel substrato (polifenoli) che, ossidandosi, uccidono gli espianti stessi? Allora bisogna spostarli frequentemente da una provetta all’altra, fino a quando non la smettono: ciò aumenta in maniera notevole il rischio di infezioni.
Insomma, un bel impegno 😀
Ciao
Tasha
Monza
Ciao
ho ricevuto diverse mail che mi chiedevano qualche informazione in più sulla semina delle orchidee: rispondo pubblicamente.
Premetto che le indicazioni che seguono sono inerenti alla semina delle capsule ancora chiuse: la semina di semi provenienti da capsule aperte è leggermente diversa.
SELEZIONE DELLA CAPSULA
Capsula già aperta (inadatta per questo tipo di semina)
Adatta per la semina (capsula matura ma ancora chiusa)
PREPARAZIONE DEL SUBSTRATO PER LA SEMINA IN VITRO
• Misurare la corretta quantità di sali
• Versare i sali in una beuta graduata e portare il tutto QUASI al volume totale con acqua demineralizzata
• Aggiungere lo zucchero
• Aggiungere il conservante (facoltativo)
• Portare al volume totale con l’acqua demineralizzata
• Aggiustare il Ph a 5,75 circa versando con una pipetta poche gocce di una debole soluzione di acido solforico (se troppo alcalino) o soda caustica (se troppo acido): stare molto attenti a queste due sostanze, potenzialmente molto pericolose! Se vi occupate voi della creazione della soluzione acido-acqua, versate l’acido nell’acqua, mai il contrario! Esistono anche altre sostanze adatte ad abbassare il Ph, ma non le ho mai usate.
• Aggiungere l’agar (circa 0,8/1%)
• Sterilizzare il composto in autoclave versandolo in una Erlenmeyer la cui bocca viene chiusa con un foglio di alluminio: la capacità della Erlenmeyer deve essere il doppio del contenuto. Sterilizzare il tutto per 15 minuti (nel caso di una beuta come quella fotografata: nel caso di beute più grandi, il tempo aumenta). Non superare il tempo di sterilizzazione, altrimente lo zucchero caramellizza e diventa inutile. L’autoclave deve esprimere almeno 1,2 kg cm2.
STERILIZZAZIONE DEI MATERIALI
Nella stesso autoclave in cui si sterilizza il medium, porre
• l’acqua demineralizzata sul fondo o nel serbatoio
• le provette da riempire con il medium
• gli strumenti: lame, portalame, pinze, lastra di vetro su cui tagliare (in alternativa di possono sterilizzare con l’alcool assoluto, poi fiammeggiate)
• dopo la sterilizzazione, avere l’accortezza di aprire l’autoclave all’interno della cappa disinfettata, estrarre le provette e versare il substrato nelle provette: mettere le provette inclinate, al fine di fare solidificare il substrato con la massima superficie possibile. Se l’autoclave viene aperto in ambiente sterile, tutto si contaminerà di nuovo.
PREPARAZIONE DELLE PROVETTE
• Versare la quantità necessaria nelle provette
PREPARAZIONE DELLA CAPPA A FLUSSO LAMINARE E DEGLI STRUMENTI
Dopo 15 minuti di funzionamento, lavare tutte le superfici interne della cappa con etanolo al 95%.
In alternativa all’autoclave, gli strumenti possono essere immersi in alcool e fiammeggiati
PREPARAZIONE DELLA CAPSULA
• Mentre la cappa viene azionata, ripulire la capsula del peduncolo e dei resti del fiore (colonna, labello, petali e sepali): questa operazione non deve essere fatta in ambiente asettico
• Lavare la capsula a lungo, sotto l’acqua corrente (almeno 10 minuti) con un vecchio spazzolino a setole medie, con del sapone antibatterico (si trova comunemente al supermercato o in farmacia): evitare il sapone in pietra (tende a lasciare una patina sulle superfici che potrebbero limitare l’effetto delle successive sterilizzazioni)
• Immergere la capsula in alcool puro e agitare, per una ventina di secondi
• Creare una soluzione al 2,5% di ipoclorito di sodio/calcio (la comune candeggina è a base di ipoclorito di sodio: verificare la concentrazione dell’ipoclorito e “allungare” la candeggina con tanta acqua demineralizzata quanto necessaria al raggiungimento dell’aliquota di ipoclorito necessario. È una concentrazione piuttosto forte, ma tanto la capsula racchiude i semi che non verranno mai contaminati con il cloro: in altri casi sarebbe eccessivamente tossica.
• Versare nella beuta, inserire la capsula magnetica, porre sull’agitatore e azionare per circa 10 min.
• Portare la capsula nel suo contenitore all’interno della cappa già funzionante
• Estrarre la capsula dalla beuta, immergere di nuovo nel metanolo e fiammeggiare: non fiammeggiare capsule naturalmente piccole, dato che la temperatura penetrerebbe velocemnte sino all’interno, uccidendo i semi
• Sulla lastra di vetro sterile, aprire la capsula
• Fiammeggiare la bocca delle provette
• Inserire i semi e spargerli sul substrato
• Fiammeggiare l’alluminio e utilizzarlo per richiudere le provette
Le provette, chiuse con un elastico che fermi saldamente l’alluminio, vanno collocate in un ambiente caldo e luminoso (o buio, per alcune specie, per la prima parte dello sviluppo dei protocormi, poi portati progressivamente alla luce). Le piantine dovranno essere ripicchettate in contenitori più grandi (quando saranno sufficientemente grandi per essere maneggiate) fino al raggiungimento della dimensione minima per essere piantate all’esterno, in vasi contenenti il substrato solito (ma più piccolo) o in sfagno.
Alcuni passaggi possono essere considerati “pleonastici”, ma garantiscono un livello ottimale di asepsi tanto dei contenitori quanto della capsula e dei semi.
Alcuni non usano le provette ma altri contenitori: da quelli appositamente studiati per le semine in vitro ai barattoli di vetro delle conserve.
In questo caso le indicazioni prevedono l’utilizzo di una cappa a flusso laminare: alcuni (bravissimi, secondo me) riescono a seminare sull’acqua bollente, in sostituzione della cappa: se volete vi spiego come. Alcuni sterilizzano i contenitori e il substrato nel forno a microonde (ovviamente le beute e i contenitori non devono essere chiusi con fogli metallici, cosa che l’autoclave a pressione/calore umido, invece, consente).
Ciao
Tasha
Monza
Scritto Da – nelumbo on 22 Agosto 2011 20:56:38
Ciao
Ecco le immagini di alcuni protocormi (masse cellulari sviluppatesi dai semi di orchidea in grado di generare da una parte il germoglio vegetativo e dall’altra le radici, in base al geotropismo positivo): insomma, sono la fase iniziale di una pianta di orchidea. Da questo stadio alla fioritura possono passare da 2/3 fino a molti, molti anni anni prima che le piante fioriscano per la prima volta.
Tutte le masserelle biancastre che punteggiano il contenuto della provetta sono semi non germogliati.
Ciao
Tasha
Monza
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